L’imprenditore non deve necessariamente essere esperto in materia tecnico contabile e, dunque, non gli si chiede di essere in grado di tenere, da solo e in modo corretto, la contabilità della sua impresa.
Ciò che la legge chiede all’imprenditore è di vigilare in modo costante e diligente, al fine di controllare che le persone a cui egli abbia affidato la tenuta della contabilità – soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, sia in qualità di dipendenti che di liberi professionisti – operino in modo corretto.
L’importanza di questo obbligo di controllo si comprende meglio nel considerare che la legge, soprattutto quella penale fallimentare, presume, fino a prova contraria, che la contabilità sia tenuta secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (cfr. cass pen Sez. V, 03/11/2017, n. 54692 e giurisprudenza ivi citata).
La problematica in parola viene spesso in rilievo nei processi penali per bancarotta documentale, che possono scaturire dal fallimento dell’azienda.
L’imprenditore si trova a dover rispondere di questo tipo di accusa quando il curatore, nelle sue relazioni sullo stato dei conti aziendali, abbia rilevato, per esempio, di aver trovato lacune tali da impedire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari oppure abbia constatato che l’imprenditore non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
In tali casi, l’imprenditore potrebbe rendersi conto che il professionista incaricato non ha adempiuto correttamente ai propri doveri e, in ogni caso, non è infrequente assistere a strategie difensive volte ad attribuire le lacune contabili ad asserita negligenza del medesimo professionista.
Si tratta di strategie che, per essere vincenti, devono essere in grado di sviluppare una prova rigorosa della negligenza contabile dell’incaricato e, soprattutto, dell’attività di controllo che l’imprenditore ha svolto sul suo operato.
Strategie del genere non possono certo essere improvvisate. E’ per questo che il livello di attenzione e di controllo dell’imprenditore sull’operato dei suoi collaboratori deve essere costante e non può prescindere da un’adeguata attività di documentazione.
L’imprenditore, l’amministratore unico, il consiglio di amministrazione o, meglio, i consiglieri delegati, dovrebbero sempre lasciare traccia documentale delle comunicazioni intercorse con i collaboratori e incaricati dell’impresa, come pure delle disposizioni a loro impartite e della trasmissione o consegna della documentazione rilevante a fini di elaborazione dei libri aziendali. Stessa cosa per le riunione operative tenute per la verifica degli adempimenti contabili e dello stato dei conti, le quali dovrebbero essere adeguatamente verbalizzate.
Solo così, in caso di errore o manchevolezza del contabile, sarà possibile per l’imprenditore essere esentato da responsabilità.
E’ quasi obbligatorio aggiungere che, in caso di dubbio e nella previsione di un possibile fallimento, sarebbe bene ricorrere per tempo alla consulenza di un esperto in materia fallimentare e penale fallimentare, al fine di compiere una verifica sulla tenuta dell’impianto contabile, prima che sia il curatore a segnalarne le lacune alla Procura della Repubblica.
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