Mancato pagamento delle imposte e reato di bancarotta

  La bancarotta per operazioni dolose (art. 223, 2° comma n.2 L.F., oggi art. 329, 2° comma lett. B Codice della Crisi) è notoriamente ipotesi residuale o “di chiusura” del sistema incriminatorio penal-fallimentare, in quanto contempla una fattispecie atipica e potenzialmente aperta, consistente in condotte che rilevano penalmente (a titolo di dolo) solo per la presenza di un quid pluris, qualificante e unificatore.

  Tale quid pluris è espresso, nella norma in esame, attraverso la locuzione “hanno cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società”.

   In quanto ipotesi atipica, il Giudice chiamato a riempirla di contenuto, deve operare nei limiti di un’interpretazione puntuale (oltre che congruamente motivata), onde evitare di farvi rientrare qualsiasi atto di gestione, anche se solamente malaccorto e/o semplicemente frutto di incapacità imprenditoriale.

  L’elemento che unifica e qualifica i singoli atti, facendoli rientrare nel concetto di operazione (soprattutto nell’ipotesi certamente più ricorrente in pratica, che è quella di aver cagionato il fallimento per effetto di operazioni dolose), è integrato da una scelta gestionale caratterizzata da abuso dei poteri o violazione dei doveri amministrativi.

  Ovviamente, tale scelta gestionale deve essere assimilabile ad un disegno strategico (l’operazione), cui si uniformano i singoli atti, e deve trattarsi di scelta strategica volontaria.

  L’effetto naturalistico di tale scelta strategica deve condurre eziologicamente alla depauperazione dell’attivo patrimoniale e, conseguentemente, a determinare o aggravare il dissesto e il fallimento.

  Sotto il profilo soggettivo, ai fini di delimitare congruamente il reato in questione, si deve precisare che la volontarietà non implica solo la volontà del singolo atto, ma soprattutto la condivisione volitiva del disegno strategico cui il singolo atto è preordinato, con la conseguente consapevolezza del contrasto di tale disegno complessivo con i doveri di corretta amministrazione e della conseguente depauperazione dell’attivo; inoltre deve sussistere la prevedibilità – e quindi la previsione – del dissesto prima e del fallimento poi, come effetto del compimento del detto disegno.

  Quanto fin qui detto vale in particolar modo per la bancarotta impropria consistente nell’aver cagionato il fallimento per effetto di operazioni dolose, che costituisce la figura utilizzata quando si vuole incriminare il sistematico mancato assolvimento delle obbligazioni tributarie e contributive.

  Nel caso in cui l’accusa intenda contestare una simile sistematica omissione di pagamento, la Procura dovrà dimostrarne la ricorrenza negli anni e la sostanziale assenza di versamenti per tutti i periodi in parola, oltre che, naturalmente, la rilevanza degli importi rispetto al volume d’affari della fallita.

  Nell’economia di un siffatto capo di imputazione, infatti, in assenza dell’analitica dimostrazione dei detti elementi, le sorti del rinvio a giudizio e del processo non possono essere affidate unicamente a una formula verbale, come quella, ad esempio, rappresentata dall’avverbio “sistematicamente” o espressioni consimili.

  A titolo di migliore esemplificazione, si può qui richiamare quali spunti del corredo circostanziale possano essere utili a dimostrare l’inconsistenza dell’accusa:

  • mancanza di significativa continuità, qualora gli anni che registrano omessi o incompleti pagamenti di imposte siano intervallati da esercizi in cui le imposte, almeno in parte, sono state assolte;
  • mancanza di spessore degli importi evasi, la cui sostanziale irrilevanza porti ad escludere in radice qualsiasi disegno strategico e qualsiasi efficienza causale rispetto al dissesto.

  A conforto delle brevi notazioni che precedono, si può citare la motivazione contenuta in Cass. sez. V n. 24752/2018, la quale contiene un’interessante dissertazione sul tipo di incriminazione in rassegna, confermando che il disegno strategico è ravvisabile, attraverso la prova induttiva, unicamente sulla base della rilevanza degli importi evasi e della costanza nel tempo delle omissioni. Vi si legge: “Nel caso in esame … la sentenza impugnata ha compiutamente ricostruito le vicende finanziarie della (OMISSIS) s.r.l., evidenziando che l’inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali era stato il frutto di una consapevole scelta gestionale degli amministratori attuata fin dall’inizio dell’attività societaria; infatti, l’omissione, iniziata sin dal 2000, fu protratta fino al fallimento, determinando un’esposizione di oltre un milione di Euro, connotandosi, dunque, come estesa e sistematica”. (cfr. punto 1.1. della parte motiva). E ancora: “accumulazione di un’esposizione superiore ad un milione di euro”; “sistematico inadempimento tributario e contributivo protratto per molti anni” (cfr. punto 1.2., in fine, della parte motiva).

  Si ritiene, conclusivamente, che i rilievi fin qui esposti possano rendere evidente quale debba essere la strada da seguire per contrastare efficacemente l’ipotesi di accusa di bancarotta per operazioni dolose basata sul mancato pagamento delle imposte e degli altri carichi fiscali.

autore dell’articolo Enrico Leo

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