Per la migliore comprensione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è opportuno richiamare alcuni esempi concreti, tratti dalla giurisprudenza, i quali ci consentiranno di sottolineare gli elementi che caratterizzano questa figura e che fanno da discrimine fra ciò che è reato e ciò che non lo è.
Ricordiamo, semplificando, che il reato in questione si verifica quando un soggetto, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte di una certa consistenza, fa in modo di apparire impossidente, schermando i propri beni con atti simulati o altri artifici. In sostanza, intesta ad altri i propri beni o pone in essere altri espedienti giuridici che, seppure formalmente validi, hanno come unico scopo quello di far “sparire” il patrimonio agli occhi del fisco.
La giustificazione che solitamente adduce chi si trovi a essere imputato o anche solo indagato per tale ipotesi di reato, è quella di aver posto in essere gli atti per ragioni lecite e in conformità a un legittimo esercizio della propria libertà economica e negoziale.
Questa giustificazione, in effetti, richiama quello che può essere considerato il vero e proprio focus rivelatore del reato, il quale consiste nel fatto che l’operazione incriminata appaia priva di una ragionevole e verificabile esigenza di ordine economico. E’ questa assenza che porta i giudici a concludere che l’operazione è stata posta in essere con l’unico scopo (al fine) di sottrarsi alle pretese creditorie dell’Erario.
In un recente caso, la Cassazione ha ritenuto che tale reale e verificabile esigenza economica mancasse nell’azione di due coniugi i quali, trovandosi ad essere debitori dell’Agenzia delle Entrate per diverse annualità di imposta, avevano costituito un fondo patrimoniale conferendovi un proprio immobile e, subito dopo, avevano donato lo stesso immobile al figlio.
Un simile comportamento, posto in essere in costanza di situazione debitoria, aveva sortito l’effetto pratico di frapporre un ostacolo (vedremo però se e con quale concreta efficacia) alle pretese erariali e, per tale motivo, era stato considerato privo di una motivazione economica che non fosse quella, appunto, di evitare l’ipoteca e il conseguente pignoramento.
Abbiamo detto che sarebbe stato probabilmente opportuno, verificare più attentamente la concreta efficacia dei due atti a mettere in pericolo le pretese del fisco. Questo per il semplice motivo che è proprio la norma in commento a richiedere che l’atto sia idoneo a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.
Sia detto per inciso che ci troviamo qui davanti a una espressa applicazione normativa del principio generale dettato dall’articolo 49 del codice penale, il quale esclude il reato davanti a un’azione concretamente inoffensiva.
Un atto inidoneo a mettere in pericolo le pretese della riscossione, perché, in ipotesi, nullo o giuridicamente inefficace, potrebbe portare ad escludere la sussistenza del reato. Vedremo in un prossimo post di confrontarci con tale evenienza proprio in rapporto alla costituzione di un fondo patrimoniale e/o di una donazione.
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