Si deve partire dal dato secondo il quale il fallito è in linea generale privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, in quanto tale capacità spetta solo al curatore ex art. 143 del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019).
La giurisprudenza della Cassazione, tuttavia, ha costantemente affermato che il fallito, nel caso di inerzia degli organi della procedura, mantiene una legittimazione ad agire e ad impugnare, pur se si tratti di provvedimenti incidenti sui rapporti compresi nel fallimento.
E’ bene anche considerare che la giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione ha più volte affermato che l’avviso di accertamento per debiti fiscali, nati prima della dichiarazione di fallimento, va notificato anche al contribuente fallito.
Con ciò rimane affermata la conservazione in capo a costui della qualità di soggetto passivo del rapporto tributario, pur essendo condizionata la sua impugnazione all’inerzia del curatore.
In sostanza, il rapporto giuridico d’imposta permane in capo al debitore anche in costanza della procedura fallimentare, potendo spiegare effetto a vari livelli nel suo futuro rapporto con l’Erario.
Si vedano ad esempio gli effetti sulla valutazione della personalità del contribuente e della sua affidabilità fiscale, sulle sanzioni pecuniarie amministrative, sulle prospettive di esdebitazione e sulle prospettive economiche del debitore tornato in bonis.
Tali principi devono essere ulteriormente approfonditi e qualificati nella considerazione di alcuni ulteriori elementi.
Innanzi tutto l’esistenza di un interesse personale alla contestazione della pretesa tributaria, per la rilevanza che quest’ultima potrebbe avere con riferimento alla relazione del curatore sulle cause del dissesto e, di conseguenza, anche in sede penale.
Ciò sia con riferimento a reati tributari eventualmente connessi all’azione accertatrice, sia con riferimento più diretto a ipotesi di bancarotta.
E proprio per tale motivo il citato articolo 143 riconosce espressamente una legittimazione rispetto ai contenziosi da cui potrebbe nascere un’imputazione di bancarotta.
Ulteriore interesse può essere quello, già sopra richiamato, a contenere l’entità del passivo, anche in riferimento all’eventuale esdebitazione dopo la chiusura della procedura.
In sostanza, non si può che concedere il giusto rilievo alla divergenza delle esigenze di tutela della posizione personale del fallito (art. 24 cost.) rispetto all’interesse del curatore, il quale è parametrato sulla economicità della procedura, in vista esclusivamente della realizzazione del concorso sulla massa attiva.
Le considerazioni che precedono inducono, nel loro complesso, a un’interpretazione costituzionalmente orientata (art. 24 cost.) dell’articolo 143 citato, ammettendo il contribuente fallito ad impugnare in proprio l’atto impositivo ritenuto illegittimo.
Le SS.UU. della cassazione, con la pronuncia n. 11287 del 28 aprile 2023, riconoscono questa prerogativa, a patto che il curatore non abbia già proposto una sua impugnativa. In caso di inerzia del curatore, la legittimazione del fallito è piena, quali che siano le ragioni per cui il curatore non abbia impugnato e ciò in considerazione di quanto sopra detto, sulla divergenza sostanziale degli interessi del curatore rispetto a quelli del fallito.
Andando anche oltre la citata sentenza è bene consigliare vivamente che il contribuente fallito provveda senza indugio a impugnare gli atti impositivi e a coltivare il contenzioso.
Anche se analoga impugnativa dovesse poi essere spiegata dal curatore, il contribuente potrà sempre dedurre davanti al giudice tributario una sua propria legittimazione, se non ad impugnare, quanto meno ad intervenire, con ciò rimanendo all’interno del giudizio e tutelando la sua posizione personale anche oltre i limiti, divergenti dai suoi, nei quali possa farlo il curatore.
In difetto di questa autonoma impugnativa, il contribuente fallito potrebbe trovarsi a patire vari effetti negativi e varie menomazioni defensionali, anche in sede penale, causate, in ipotesi, da un’assente o insufficiente impugnativa del curatore.
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