Le Sezioni Unite, con una sentenza del 19 marzo 2024, risolvono una questione che da anni alimenta il contenzioso fra banche e promissari acquirenti di immobili.
Il caso, piuttosto frequente, riguarda coloro, per lo più soci di cooperative edilizie, che hanno concluso un preliminare di vendita immobiliare con una società la quale, prima del rogito, fallisce.
Il curatore, in queste ipotesi, subentra nel contratto (e non può non farlo quando l’acquirente abbia i requisiti “prima casa” e abbia trascritto il preliminare in conservatoria) e conclude la vendita, riconoscendo all’acquirente gli acconti già pagati alla fallita.
Subito dopo, lo stesso curatore chiede al Giudice delegato la cancellazione dell’ipoteca gravante sul bene e qui si innesca il marcato contrasto, oggi risolto dai giudici, fra la posizione dell’acquirente e quella della banca mutuante.
Il primo, infatti, ha interesse a concludere il rogito facendo leva sulla tipica clausola del preliminare, in base alla quale l’immobile deve essere trasferito libero da gravami. Ciò soprattutto quando, come spesso accade, egli ha già versato integralmente il prezzo e si troverebbe a doverlo ripagare in tutto o in parte, qualora dovesse farsi carico dell’ulteriore onere economico di estinzione dell’ipoteca.
La seconda, per contro, ha sempre sostenuto che il potere del Giudice delegato, di cancellare l’ipoteca e gli altri gravami, è previsto dalla legge (art. 108 Legge Fallimentare) solo per le ipotesi di vendita coattiva, quella alienazione cioè attraverso la quale il curatore cede il bene al migliore offerente, all’esito dell’espletamento di una procedura competitiva. Tale norma non opererebbe dunque per la mera esecuzione del contratto preliminare.
Le Sezioni Unite hanno accolto questa seconda opzione interpretativa.
La conseguenza è che da oggi, in caso di fallimento della società promittente, si apre uno scenario piuttosto inquietante per i soci di cooperative edilizie (e per gli altri promissari acquirenti di immobili).
Costoro, se vorranno ottenere dal curatore il trasferimento dell’alloggio loro assegnato quale atto di esecuzione del preliminare, dovranno non solo saldare l’eventuale corrispettivo residuo ma anche saldare alla banca il valore dell’ipoteca insistente sul bene. In caso contrario acquisiranno l’immobile ancora gravato da ipoteca.
Occorre subito dire che tale spiacevole situazione, pur essendo ancora attuale, è destinata negli anni a scomparire, in quanto il Codice della crisi, che ha sostituito la legge fallimentare, ha stabilito sul punto una nuova regolamentazione, peraltro anch’essa in parte penalizzante per i soci assegnatari.
La decisione oggi in rassegna continuerà dunque ad applicarsi per le assegnazioni di immobili eseguite dal curatore in seno a fallimenti aperti prima dell’entrata in vigore del Codice della crisi (15 luglio 2022).
Per le procedure aperte dopo tale data troverà applicazione l’articolo 173 dlgs 14/2019.
Per i soci di cooperative interessate dalle procedure di cui alla sentenza in commento si apre dunque uno scenario di possibile tutela legale nuovo e più articolato, il quale dovrà tenere conto, a seconda dei casi, di quanto già versato dal socio alla fallita, come pure della possibilità di non chiedere l’assegnazione del bene ma di valorizzare il contenzioso ex art. 2932 c.c. eventualmente in corso, oppure di partecipare come terzo offerente alla vendita coattiva. La cosa più importante sarà però quella di verificare se il mutuo sia stato erogato in un momento in cui la società poi fallita era già in condizione di grave difficoltà e/o di insolvenza, essendo questa la vera arma da far valere contro l’istituto mutuante.
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