Poteri del liquidatore di chiedere la liquidazione giudiziale in proprio (art. 37, comma 2, Codice della crisi)

  Ci si potrebbe domandare quali siano i poteri/doveri del liquidatore di una società, il quale si trovi di fronte a un rilevante divario tra poste passive e attivo patrimoniale, con condizione di illiquidità e conseguente impossibilità a far fronte a esecuzione immobiliare in corso.

  In particolare, ci si domanda se il titolare di tale carica possa (e debba) presentare istanza di liquidazione giudiziale in proprio, pur senza consultare l’assemblea e a fronte di una possibile volontà di segno contrario dei soci. 

  Il quesito nasce dall’osservazione della prassi societaria, la quale, com’è noto, conosce non pochi casi di legali rappresentanti che, al momento di doversi assumere delle responsabilità gravose, si trincerano dietro la espressa o presunta volontà assembleare, anche quando il potere in questione non sia affatto di spettanza di tale consesso ma, invece, sia configurato dalla legge proprio in capo all’organo gestorio.

  Il punto da cui partire è che il liquidatore è investito, ai sensi dell’art. 2489 c.c., comma 1, del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della società, senza che sia necessaria una delibera della maggioranza dei soci (cfr. Cass. 15 aprile 2019, n. 10523), salvo che sia diversamente stabilito dallo statuto o dall’atto di nomina.

  In materia di richiesta di liquidazione giudiziale in proprio, tali poteri/doveri, anche in presenza delle limitazioni di potere eventualmente presenti nello statuto o nell’atto di nomina, si colorano di maggiore cogenza.

  Infatti, a fronte del descritto potere, sussiste una grave penale responsabilità del liquidatore, che scatta in caso di mancato o ritardato esercizio dello stesso.

  Si tratta della responsabilità per aver aggravato il dissesto, configurata nell’ ipotesi di reato di cui all’articolo 323, comma 1, lett. d) del Codice della crisi.

  Nella considerazione di tale responsabilità, il liquidatore deve valutare unicamente la situazione patrimoniale e comportarsi di conseguenza, ben conscio del fatto che quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza deve essere diretta unicamente ad accertare se il patrimonio sociale consenta di assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori (in proposito cfr. Cass. 10 dicembre 2020, n. 28193).