Com’è noto, nel processo penale, in nome del principio di favore per le impugnazioni, è consentito all’imputato ricorrere contro la condanna anche personalmente, vale a dire con atto a propria firma. Il principio trova ragione nella presunzione di innocenza e nella conseguente volontà di ampliare il più possibile le strade che sono concesse al cittadino per dimostrare la propria.
Ma si sa, in periodi di difficoltà i princìpi lasciano spazio alle emergenze e le regole emergenziali, piano piano, diventano stabili norme di condotta. È così che quella strada concessa all’imputato per dimostrare (quando c’è) la propria innocenza, è divenuta negli anni, riforma dopo riforma, un sentiero stretto e disseminato di ostacoli, poiché l’obiettivo prioritario di una giurisdizione affogata nel mare dei procedimenti pendenti, sembra essere quello di farne saltare il maggior numero possibile sulle mine dell’inammissibilità.
La riforma introdotta dalla legge 103/2017, fra le altre cose, ha posto ulteriori limiti alle impugnazioni, volti in tesi a renderle più tecniche e per questo più specifiche, con conseguente corredo di sanzioni di inammissibilità.
In questo quadro è stato eliminato il diritto dell’imputato a ricorrere in Cassazione con un atto a propria firma (o, come accadeva più di frequente, con un atto da lui sottoscritto ma preparato da un avvocato non ancora abilitato al patrocinio in cassazione).
Di conseguenza, dal 3 agosto 2017, il ricorso per cassazione potrà essere presentato solo da un avvocato cassazionista, che si suppone sia in grado di interpretare ed applicare la griglia normativa, al fine di riuscire nel non facile compito di far passare i motivi attraverso le maglie strette della Curia di legittimità.
Sia detto per inciso che questa rigida griglia normativa costituisce una ben netta linea di tendenza, anche al di là del tema delle impugnazioni. Essa, accompagnata da vari protocolli (o best practice) di valore più o meno negoziale e regolamentare, è tutta tesa a tarpare le ali alla fantasia letteraria e alla fluente eloquenza avvocatesca e costituisce, nella sua zelante cura, volta a standardizzare le tecniche di redazione degli atti e finanche i caratteri tipografici, l’anticamera della (semi) informatizzazione della decisione.
La Corte di Cassazione, nel lodevole intento di fornire linee guida per i primi momenti di applicazione della riforma, ha assunto due documenti (http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Appunto_legge_n_103_del_2017.pdf del 24 luglio e http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/LINEE_GUIDA_Legge_103_2017.pdf del 28 luglio), il secondo dei quali – forse eccessivamente sintetico – sul punto che ci interessa detta un orientamento apparentemente irragionevole e comunque in netto contrasto con il contenuto del primo, costituito da quella relazione dell’Ufficio del massimario, commissionata proprio quale base per le linee guida.
Le linee guida affermano testualmente “la disposizione è applicabile ai ricorsi proposti personalmente dall’imputato dopo l’entrata in vigore della legge, anche se riferiti a provvedimenti emessi in data anteriore.”
In modo opposto ha concluso invece il Massimario, il quale si è espresso ragionevolmente e motivatamente, sulla scorta di autorevole e consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite.
In particolare, a pagina tre, la relazione del Massimario tratta del principio “tempus regit actum”, ricordando che, in forza di tale regola, la novella procedurale si applica immediatamente, salvo che per gli atti in corso di compimento e con effetti non ancora perfezionati.
Sullo specifico tema del regime intermedio delle impugnazioni, si richiama SS.UU. 27614/2007, Lista, la quale è stata costantemente applicata dalla giurisprudenza successiva. Tale sentenza distingue fra modifiche che si riferiscono alle modalità di esercizio della facoltà di impugnare e modifiche del procedimento che disciplina l’impugnazione già proposta e afferma che, quando è ancora pendente il termine per il gravame, la disciplina applicabile deve essere quella vigente al momento di emissione del provvedimento oggetto di censura. Una scelta diversa, la quale privilegiasse la nuova norma, vigente al momento della proposizione dell’impugnazione ma non anche al momento dell’emissione dell’atto gravato, potrebbe condurre ad esiti irragionevoli, attraverso una discriminazione fra posizioni identiche, influenzata da fattori casuali e aleatori.
In definitiva è più che ragionevole ritenere che la facoltà impugnatoria sia disciplinata sulla base della normativa vigente al momento in cui essa, a seguito del deposito dell’atto, viene ad esistenza, poiché è proprio in base a tale momento e a tale disciplina che l’imputato compie le proprie scelte, anche di carattere temporale.
Autore dell’articolo Enrico Leo – tutti i diritti riservati – agosto 2017
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