Com’è noto, ai sensi dell’art. 2495 c.c., la cancellazione di una società dal registro delle imprese ne determina l’estinzione.
Secondo la prevalente interpretazione giurisprudenziale, si può chiedere la cancellazione di una società anche se il bilancio finale di liquidazione è in perdita ed espone un passivo non ripianato né ripianabile.
Sotto il profilo processuale, l’intervenuta estinzione per cancellazione, ove dichiarata dal procuratore della parte, comporta l’interruzione del giudizio in corso e la necessità di riassumerlo nei confronti dei soci.
A prescindere da tale interruzione e dalla conseguente riassunzione – evenienza in cui i soci hanno una posizione di mera legittimazione processuale – dopo l’estinzione di una società di capitali non residua alcuna responsabilità patrimoniale per gli ex soci, salva l’ ipotesi, descritta dal secondo comma dell’articolo 2495 cc, secondo la quale “i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
Altro effetto dell’uscita dal registro delle imprese è quello previsto dall’articolo 10 della legge fallimentare, il quale prevede che il fallimento di una società estinta possa essere dichiarato solo entro un anno dalla cancellazione.
Il dlgs 21/11/2014, n. 175, all’art. 28, 4° comma, ha introdotto una disposizione che, nell’interesse del fisco, deroga in parte alla disciplina comune sin qui descritta.
Essa prevede che “Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese.”
Occorre chiedersi se tale deroga sia legittima e quale sia la sua portata.
Con riferimento a tale secondo aspetto, occorre chiedersi, in particolare, se si tratti di una semplificazione di ordine meramente processuale, volta a non intralciare la definizione delle pretese tributarie e dei relativi contenziosi o se essa possa produrre effetti più estesi, come ad esempio quelli relativi al termine per proporre la richiesta di fallimento.
Autore dell’articolo: Enrico Leo. Tutti i diritti riservati