Bancarotta per distrazione, la rilevanza del pericolo concreto per i diritti dei creditori

  In considerazione degli sviluppi della giurisprudenza di legittimità, sarà bene approfondire alcuni aspetti del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

  Si tratta infatti di profili che spesso vengono utilizzati, quali argomenti difensivi, da coloro che si trovino ad essere imputati per tale reato.

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La bancarotta per distrazione dell’imprenditore individuale

  Anche se nell’economia contemporanea le imprese individuali costituiscono una percentuale molto minoritaria, si registrano ancora casi di incriminazione di imprenditori individuali a titolo di bancarotta fraudolenta per distrazione.

  Non può dirsi quindi priva di interesse concreto un’attenta disamina di queste ipotesi, le quali possono presentare una certa difficoltà di inquadramento.

  Difficoltà che nasce nel momento in cui le presunte distrazioni vengano ricostruite e rappresentate come passaggi di ricchezza fra i beni aziendali e i beni “personali” del suo titolare.

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Le sole risultanze della contabilità della fallita non sono idonee a dimostrare la distrazione

  Sia nei processi per bancarotta fraudolenta che nelle azioni di responsabilità intentate dai curatori fallimentari, vi può essere la tentazione di semplificare eccessivamente la prova dei fatti di presunta distrazione.

  Nel primo caso si giunge a imputazioni e, in qualche caso, a condanne illegittime, mentre nel secondo caso si può assistere ad azioni civili di danno che rischiano di rivelarsi infondate.

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Esdebitazione negata senza meritevolezza fiscale

Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta…

…Il giudice, assunte le informazioni ritenute utili, valutata la meritevolezza del debitore e verificata, a tal fine, l’assenza di atti in frode e la mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento, concede con decreto l’esdebitazione…

  Questo è quanto previsto dall’articolo 283 del Codice della Crisi, norma che, nel disporre che il Giudice possa concedere al debitore persona fisica un beneficio di grande importanza, vale a dire quello di liberarsi da tutti i debiti e ricominciare a vivere, lo subordina al requisito della meritevolezza.

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Il Collegio sindacale nella crisi di impresa

  Il CNDCEC ha posto in pubblica consultazione le nuove norme di comportamento del Collegio sindacale di società non quotate.

  La sezione 11 esamina l’attività del Collegio sindacale in situazioni di crisi di impresa e in caso di insolvenza, recependo le modifiche normative apportate alla materia dal Codice della crisi.

  Anche con riferimento a tale sezione, l’attività sindacale di base è quella volta a verificare che gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili adottati dalla società e il sistema di controllo, risultino adeguati a rilevare tempestivamente segnali di crisi e di perdita della continuità aziendale.

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La Cassazione penale (45285/2023) torna sul tema del concorso fra bancarotta e autoriciclaggio

  Si tratta di un tema particolarmente caldo, in quanto l’imprenditore che intravede all’orizzonte uno scenario di fallimento, sempre più spesso agisce d’anticipo e si adopera per trasferire ad un soggetto formalmente terzo i beni della società in dissesto.

  L’operazione è accompagnata da sottrazione o manipolazione delle scritture contabili, quale ovvia necessità di occultamento della sottrazione.

  La prassi appena descritta si presta ad essere inquadrata in una doppia incriminazione, quella per bancarotta, cui si aggiunge quella per autoriciclaggio (o anche riciclaggio), reati questi ultimi rispetto ai quali gli investigatori manifestano una sempre crescente attenzione.

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Poteri del liquidatore di chiedere la liquidazione giudiziale in proprio (art. 37, comma 2, Codice della crisi)

  Ci si potrebbe domandare quali siano i poteri/doveri del liquidatore di una società, il quale si trovi di fronte a un rilevante divario tra poste passive e attivo patrimoniale, con condizione di illiquidità e conseguente impossibilità a far fronte a esecuzione immobiliare in corso.

  In particolare, ci si domanda se il titolare di tale carica possa (e debba) presentare istanza di liquidazione giudiziale in proprio, pur senza consultare l’assemblea e a fronte di una possibile volontà di segno contrario dei soci. 

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Gli adeguati assetti: corollario di sana gestione aziendale

Ospitiamo un qualificato intervento di Enrico Ciammarughi (Dottore Commercialista in Roma AA2493, Revisore Legale n. 186252 con studio in Via Degli Aldobrandeschi, 48 – 00163 Roma, Cell. 338/7142692, Mail pec: enrico.ciammarughi@pec.it).

Il tema, attualissimo, è quello della nuova e ormai imprescindibile frontiera dell’organizzazione aziendale, vale a dire l’obbligo dell’imprenditore di istituire misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi, per poter così assumere le iniziative necessarie a farvi fronte.

  “Che l’attività di impresa fosse caratterizzata dal rischio e necessitasse dell’organizzazione lo sapevamo già!

  Basta leggere gli articoli 2082, 2086 e 2555 del codice civile per cogliere la parola magica: ORGANIZZAZIONE.

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Sulla legittimazione del fallito (oggi soggetto sottoposto a liquidazione giudiziale) a proporre e coltivare impugnative tributarie

  Si deve partire dal dato secondo il quale il fallito è in linea generale privo della capacità di stare in giudizio nelle controversie concernenti rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, in quanto tale capacità spetta solo al curatore ex art. 143 del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019).

  La giurisprudenza della Cassazione, tuttavia, ha costantemente affermato che il fallito, nel caso di inerzia degli organi della procedura, mantiene una legittimazione ad agire e ad impugnare, pur se si tratti di provvedimenti incidenti sui rapporti compresi nel fallimento.

  E’ bene anche considerare che la giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione ha più volte affermato che l’avviso di accertamento per debiti fiscali, nati prima della dichiarazione di fallimento, va notificato anche al contribuente fallito.

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Bancarotta documentale: le varie condotte ipotizzabili e il conseguente discrimine fra bancarotta semplice e fraudolenta

  La fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale viene solitamente trattata nei capi di imputazione con una certa approssimazione, vale a dire con una contestazione che fa genericamente richiamo – in via cumulativa o alternativa – a tutte le ipotesi descritte dall’art. 322, comma 1 lett. b del Codice della Crisi (d.lgs. n. 14 del 2019).

  La norma contempla, in realtà, due ordini di ipotesi: a) l’imprenditore ha sottratto, distrutto o falsificato le scritture contabili al fine di trarne un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori; b) oppure le ha tenute in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio o degli affari.

  Tali ipotesi oggi, a seguito della riforma Cartabia, dovrebbero sperabilmente trovare più precisa indicazione all’interno del capo di imputazione, dal momento che la nuova procedura prevede, in capo al Gup, più pregnanti poteri di controllo sulla precisione e sulla correttezza sostanziale delle contestazioni, affinché l’imputato possa comprendere bene da cosa si deve difendere.

  Una recente pronuncia della Cassazione è intervenuta proprio a ribadire le linee guida per un corretto inquadramento dei casi di bancarotta documentale, anche al fine di distinguerle dal più lieve reato di bancarotta semplice.

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