Dietro ogni processo c’è, prima di tutto, una storia.
Una storia quasi sempre complessa, fatta di circostanze importanti per il mondo del diritto ma anche di accadimenti rilevanti per la psicologia delle persone e, in qualche modo, per la loro vita.
Fra le tante persone che si rivolgono a un avvocato, molte cercano in lui, prima d’altro, un terminale, un vaso, un porto, una sponda.
Può sembrare strano e paradossale. Oggi che tutti sanno, che la rete offre risposte più o meno razionali a tutte le domande, che nessuno è più disposto ad apparire ignorante, fragile e insicuro, proprio oggi le persone che decidono di andare da un avvocato si trovano a ricercare, a volte inconsapevolmente, il significato più profondo di quel rapporto fiduciario che è alla base dell’agire del professionista vero.
Lo fanno nel momento stesso in cui sperano di trovare qualcuno che comprenda la loro situazione, che li ascolti, che gli offra sì un rimedio tecnico ma, soprattutto, un supporto umano, un consiglio sincero per compiere scelte importanti.
E’ la ricerca dell’empatia.
Quella stessa ricerca che viene raccomandata ai medici, perché è provato che un buon rapporto con il paziente favorisce la cura e abbatte i costi umani e sociali del contenzioso sanitario.
Ecco perché saper ascoltare i racconti e appassionarsi alle storie costituisce uno dei momenti più belli e importanti della professione forense.
Ogni professionista dovrebbe tenere sempre a mente un principio: prima di pensare a quanti soldi chiederai a chi ti capita davanti, mettigli una mano sulla spalla, guardalo negli occhi e chiedigli cosa gli sta succedendo.
Se farai così, forse, lui ti racconterà la sua storia.