Bancarotta e reati fiscali: la strategia di addossare la colpa al commercialista

   Uno degli aspetti interessanti che emergono dalla giurisprudenza (si veda fra le altre cass. pen. 34391/2022) in tema di bancarotta e di reati fiscali, è lo snodo che chiama in causa il Commercialista o Consulente fiscale dell’imprenditore.

  Molti imputati infatti, a torto o a ragione, scelgono come strategia difensiva quella di addossare la colpa al detto professionista. Lo fanno, evidentemente, nella speranza che il richiamo al presunto errore contabile del commercialista possa portare ad escludere il dolo in capo all’imputato.

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Processo Vannini: la Cassazione è stata influenzata dalla Super-Procura mediatica?

La Corte di Cassazione, con la sentenza 9049/2020, rimette in discussione la tormentata (e tragica) vicenda della morte di Marco Vannini.

Come è noto, l’opinione pubblica, nella stragrande maggioranza, faceva il tifo per questo esito, il quale pone una seria ipoteca sulla possibilità che il giudizio di rinvio arrivi nuovamente ad escludere l’omicidio doloso.

Potrebbe sembrare atipico che un commento strettamente giuridico, seppure di taglio divulgativo, prenda le mosse dalla considerazione del “tifo dell’opinione pubblica”.

Eppure la consapevolezza del rilievo negativo del cosiddetto processo mediatico è ormai largamente diffusa, soprattutto fra gli addetti ai lavori.

La sentenza in questione ha accolto il motivo principale dei ricorsi della Procura e delle Parti civili, che si dolevano di un’errata configurazione dell’elemento soggettivo in termini di colpa anziché in termini di dolo.

La sua motivazione si presta ad alcune considerazioni, la prima delle quali riguarda il metro di giudizio adottato della Corte.

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La responsabilità penale del commercialista per la frode fiscale del cliente

   Sempre più spesso si leggono sentenze in cui i giudici penali, con puntuale avallo della Cassazione, condannano il consulente fiscale per concorso nella dichiarazione fraudolenta del cliente.

Quella del commercialista, in effetti, è una professione sempre più a rischio, anche dal punto di vista penale. Senza dimenticare che un’eventuale condanna comporta in maniera quasi automatica la confisca dei beni personali per valore equivalente a quello delle somme evase.

Ecco allora alcuni punti che il professionista deve tenere sempre presenti per minimizzare il rischio in parola.

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La sentenza d’appello per la morte di Marco Vannini: il dolo eventuale e le insidie del processo mediatico


Reinhard Frank


La lettura delle motivazioni della sentenza d’appello per la morte di Marco Vannini (giudice estensore De Cataldo), suscita alcune riflessioni che, pur incentrate sulla corretta ricostruzione del titolo, doloso o colposo, dell’omicidio, vanno necessariamente a toccare le influenze negative che il cosiddetto processo mediatico esercita sul corretto esercizio della giurisdizione penale. 

  1. Il processo mediatico e il giudizio sul tipo di autore

Per comprendere il significato e le implicazioni del cosiddetto processo mediatico occorre innanzi tutto distinguerlo dalla cronaca giudiziaria.

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Reati fiscali, societari e fallimentari: testa di legno e amministratore di fatto, due ruoli e una condanna

Può capitare che il titolare di un’impresa venga attratto dall’idea di sostituire a sé un prestanome. Ciò accade, ad esempio, quando il proprietario di una società decide di affidare il ruolo di amministratore a un soggetto che lo svolgerà in modo meramente formale e sotto le sue direttive.

Il prestanome viene anche denominato testa di legno, con una locuzione mirata a sottolineare il fatto che a costui non viene chiesto di agire con il proprio cervello ma, semplicemente, di eseguire le direttive impartite dal vero titolare, che assume il nome di amministratore di fatto.

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Bancarotta per falso in bilancio: la difesa del sindaco in punto di dolo

  Molti sindaci di società fallite rischiano di essere incriminati per bancarotta societaria ex art. 223, 2° co. n. 1 della legge fallimentare. Quando ciò avviene, spesso l’accusa tende a ricostruire il loro atteggiamento soggettivo in termini di dolo eventuale, pur senza nominare espressamente tale istituto.

  Infatti, in mancanza di prove più specifiche in ordine alla collusione dei controllori con i controllati, la tendenza è quella di enfatizzare l’incongruità delle poste di bilancio incriminate, definendola di  macroscopica evidenza, per poi concludere che il fatto che i sindaci abbiano concorso ad approvare quel bilancio, senza avanzare rilievi, costituisce la dimostrazione della consapevolezza dei falsi e della volontà di concorrere ad occultarli.

   Tale opzione ricostruttiva può prestare il fianco a critiche e lasciare spazi efficaci alla difesa.

  Punto di partenza è il contenuto della norma in questione, il quale, con l’espressione “hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli articoli 2621, 2622 …”, richiama, in punto di dolo, la norma sulle false comunicazioni sociali, la quale, a sua volta, prevede che, ai fini della punibilità, debba ricorrere nell’agente “l‘intenzione di ingannare i soci o il pubblico” e “il fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto”.

   Ne discende che, anche ove realmente presenti, le macroscopiche distorsioni del documento contabile non possono essere considerate, da sole, sufficienti a fondare la prova del dolo del sindaco, oltre la soglia del ragionevole dubbio. Invero, per quanto deprecabile sotto altri aspetti, ai fini penalistici in parola non è inverosimile pensare ad un controllore che abdichi volontariamente ai suoi doveri, partecipando formalisticamente ad un consistente numero di collegi, senza svolgere, anche solo per mancanza di tempo, alcuna attenta e penetrante azione di controllo. Costui, a causa di tale opzione, ben potrebbe rischiare di non accorgersi delle false appostazioni, pur senza essere minimamente animato dalle finalistiche intenzionalità previste dalla norma richiamata.

  Secondo Cass. pen. Sez. V, 24/11/2010, n. 2784, la disposizione sulle false comunicazioni sociali, come uscita dalla novella del 2001, prevede la presenza nel soggetto agente “…del dolo generico (rappresentazione del mendacio) e di un dolo intenzionale di inganno dei destinatari, previsto per fugare ogni possibile lettura in chiave di dolo eventuale … (oltre che di un dolo specifico, rispetto ai contenuti dell’offesa, qualificata da ingiusto profitto)”.

  Questa linea di pensiero è stata di recente ripresa da Cass. pen. Sez. feriale, 27/08/2013, n. 46151, la quale, se pure con riferimento a diverso reato, ha preso di nuovo in esame le caratteristiche del dolo intenzionale e gli elementi per un valido riscontro processuale del medesimo. Per quello che può interessare il comportamento del sindaco fin qui esaminato, di notevole interesse è la proposizione decisoria secondo la quale “La prova del dolo intenzionale non può derivare esclusivamente dal comportamento non iure dell’agente ma deve essere inferita anche da altri elementi sintomatici…

   Come pure la statuizione secondo la quale l’avverbio “intenzionalmente” vale a rendere necessario che “l’evento sia la conseguenza immediatamente presa di mira dall’agente, escludendo, in tal modo, le condotte poste in essere sia con dolo diretto che con dolo eventuale”.

   Tutto ciò comporta che, sebbene non sia indispensabile la prova specifica della collusione con gli amministratori, per l’accertamento del dolo non sarà sufficiente la mera constatazione del comportamento illegittimo del sindaco, consistito nel trascurare un’attenta disamina del bilancio, da cui avrebbe potuto ricavare la conoscenza delle alterazioni. Per la condanna a titolo di dolo, sarà invece indispensabile dare prova di elementi circostanziali idonei a dare conto delle specifiche ragioni che hanno determinato l’inerzia del controllore.

Autore dell’articolo: Enrico Leo. Tutti i diritti riservati.