Cass. civ. Sez. I, Sent. 21-06-2013, n. 15685, ha stabilito un principio i cui risvolti pratici non saranno molto graditi agli Istituti di credito ma che, al contrario, sembrano destinati a far tornare la serenità in molte famiglie assegnatarie di alloggi di cooperative edilizie o promissarie acquirenti di immobili da costruire.
Il supremo collegio ha dettato il principio in parola partendo dal caso di una cooperativa edilizia che, contratto un mutuo con relativa ipoteca sugli immobili da realizzare, non aveva poi restituito i soldi alla banca. Esso è però estensibile, almeno in parte, anche per la tutela di promissari acquirenti di immobili da costruire.
Per comprendere come, nella pratica, si possa verificare l’insoluto, è bene richiamare lo schema operativo classico delle cooperative di edificazione.
La società, quando non usufruisce di contributi statali, realizza le costruzioni attingendo a due fonti: le anticipazioni dei soci ed il credito bancario.
Dal punto di vista bilancistico ed in estrema sintesi, entrambe le poste rappresentano per la cooperativa dei debiti che, sotto il profilo patrimoniale, si compensano con il valore attivo rappresentato dal costo dei terreni acquistati e delle costruzioni realizzate.
Attivo e passivo sono destinati ad elidersi al momento dell’assegnazione degli immobili ai soci. Al verificarsi di quell’evento, la posta rappresentata da quanto la cooperativa ha ricevuto dai soci in conto costruzione si azzera, visto che a fronte degli acconti versati gli assegnatari ricevono la casa a suo tempo prenotata.
Ma anche il debito verso la banca si deve azzerare. Ciascun socio, infatti, nell’atto di prenotazione e di accettazione del piano finanziario individuale, avrà indicato se ed in quale misura egli intenda avvalersi dell’accollo di una quota mutuo. La cooperativa amministrata da un Cda virtuoso, al momento di accendere il mutuo, si sarà dunque regolata sulla base della sommatoria delle richieste di accollo, con il risultato che, all’atto dell’assegnazione, il debito verso la banca sarà integralmente accollato dagli assegnatari.
Se questa è la fisiologia e se si tiene conto del fatto che anche eventuali sopravvenienze, se legittime, possono essere addebitate ai soci, appare spontaneo concludere che, quando una cooperativa si rende morosa verso la banca, di solito ciò accade a causa della mala gestio degli amministratori.
La cronaca tristemente ricorrente di casi del genere, etichettati come truffe ai danni dei soci, dimostra che, spesso, soggetti abituati ad operare nel sottobosco della cooperazione edilizia, organizzano iniziative edificatorie con l’unico scopo di appropriarsi delle ingenti somme affidate alla loro gestione.
Costoro, grazie alla predisposizione di bilanci falsi, alla carenza di controlli o alla “disattenzione” dei controllori:
- Richiedono mutui esorbitanti rispetto alle necessità dei soci, approfittando spesso di periti e funzionari compiacenti;
- Gonfiano la prospettazione dei costi di costruzione ed ottengono dai soci anticipazioni superiori al necessario;
- Distraggono una buona parte dei soldi e, in particolare del mutuo bancario, con il risultato che, al momento dell’assegnazione, i soci si rendono conto che sulle loro case grava un’ipoteca ben maggiore di quella corrispondente alla quota di accollo pattuita con la cooperativa. Paradossalmente, minore è la quota di mutuo richiesta, maggiori sono le somme già versate alla cooperativa e più si rischia. Fino al caso di quei soci che, non avendo chiesto alcun mutuo, si trovano a dover pagare la casa due volte.
Gli Istituti mutuanti, infatti, facendo leva sull’intero ammontare dell’ipoteca, originariamente unitaria, azionano il diritto di credito senza frazionare il mutuo, vale a dire in via solidale. Il risultato è che ciascun socio viene chiamato a corrispondere alla banca una quota proporzionale del prestito, che non tiene conto dell’accollo pattuito a suo tempo. Così, ad esempio, a chi non aveva pattuito alcun accollo – e perciò ha già saldato alla cooperativa l’intero corrispettivo – viene richiesta la stessa quota di chi aveva stabilito di prendere il mutuo.
E anche quando la banca si dice formalmente disposta ad ottemperare alla legge, che impone il frazionamento (D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39), molto spesso pretende di farlo obbligando i soci ad accollarsi non la quota da costoro a suo tempo pattuita ma, invece, quella corrispondente alla frazione aritmetica dell’intero insoluto.
Un simile contegno, che è illegittimo sotto diversi profili e, in alcuni casi, ove accompagnato da pressioni psicologiche, potrebbe addirittura integrare gli estremi di reato, è stato oggi sconfessato dalla Suprema Corte, la quale, riprendendo il filo conduttore di una pronuncia del 2008 (Cass. 20 marzo 2008, n. 7453), ha applicato quanto previsto dall’art. 1273, u.c. cod. civ. in materia di accollo. Vale a dire che il terzo accollante (nel nostro caso il socio) “… è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione nei limiti in cui ha assunto il debito … “. Cioè nei limiti dell’importo che il socio, nell’atto di prenotazione intercorso con la cooperativa, aveva pattuito di accollarsi, quale quota di mutuo in conto corrispettivo.
La sentenza ha dunque stabilito che:
“L’ipoteca, dopo il frazionamento, deve garantire soltanto la quota di mutuo che il terzo si è accollato e non una quota corrispondente al valore della singola unità rispetto al valore del complesso delle unità immobiliari gravate dall’ipoteca;”
“rientra nel rischio accettato dalla banca, nell’erogare il mutuo senza procedere al frazionamento, la possibilità che una parte dell’importo mutuato non sia più assistito da una garanzia ipotecaria ed è, invece, da escludere che la garanzia possa trasferirsi sulle altre unità immobiliari in misura superiore alla quota di mutuo accollata dagli altri acquirenti.”
“Nel caso in cui il frazionamento redatto dal notaio in sostituzione della banca non rispetti i criteri dettati dalla legge ed anche ove ciò accada per le indicazioni date dal presidente del tribunale nel suo decreto, il frazionamento deve ritenersi nullo (totalmente nel caso in cui l’acquirente abbia pagato il prezzo senza accollarsi alcuna quota del mutuo; ovvero parzialmente nella parte in cui il frazionamento abbia posto a carico di una unità immobiliare una quota del mutuo superiore a quella accollatasi dal suo acquirente).”
“La nullità può essere accertata in un giudizio contenzioso nel quale non sono contraddittori necessari nè gli altri acquirenti né il mutuatario.”
Autore dell’articolo: Enrico Leo. Tutti i diritti riservati.