Fino a una trentina di anni fa la giurisprudenza penale in tema di colpa medica, con riferimento ai delitti di omicidio colposo e di lesioni colpose causati da imperizia (non quindi nei casi di pura negligenza o imprudenza), ne limitava la responsabilità alle ipotesi di colpa grave. Tale orientamento si rifaceva all’articolo 2236 del codice civile, il quale, com’è noto, prevede che il professionista intellettuale, ove la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
Si trattava, in sostanza, di una trasposizione della norma civilistica in area penale, operazione che poteva dirsi legittima (e come vedremo, almeno in parte, lo può tutt’ora) seppure nei limiti dell’ambito di riferimento, che sono quelli della dedotta violazione delle leges artis e con riferimento alla soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
In questo senso, la detta trasposizione era stata avallata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 166 del 1973.
La detta risalente giurisprudenza, però, aveva raccolto critiche di eccessiva benevolenza, avendo finito per ritenere che l’area del “problema tecnico di speciale difficoltà” fosse l’ordinario terreno di svolgimento della professione medica, la quale doveva essere esentata da pena per le ipotesi di colpa non grave.
Tale indirizzo è stato quindi rivisto dalla successiva giurisprudenza di legittimità, che, negando l’applicabilità dell’art. 2236 c.c. al diritto penale, ha affermato che nella materia in questione debbano trovare spazio solo gli ordinari criteri di valutazione della colpa di cui all’art. 43 c.p. Leggi tutto “La lunga e tormentata storia della responsabilità penale del medico alla prova dell’ultimo capitolo, scritto dalle Sezioni Unite del 21 12 17”
Le linee guida escludono la condanna del sanitario sia con riferimento alla valutazione della diligenza che della perizia
Continua il lavoro interpretativo della Cassazione penale sulla portata della legge Balduzzi, che ha depenalizzato le condotte dei sanitari connotate da colpa lieve, introducendo un inedito nel nostro sistema penale, vale a dire il discrimine, ai fini della punibilità, fra colpa grave e colpa lieve.
Alcuni principi possono dirsi ad oggi abbastanza sedimentati.
In linea generale, la nuova normativa impone che l’azione penale incardinata contro il sanitario si misuri con due fondamentali temi di accertamento: se l’azione del medico si sia sviluppata all’interno di linee guida diagnostico terapeutiche; se la stessa, pur rimanendo in tale perimetro, abbia assunto profili di colpa lieve. In presenza di queste due caratteristiche, il sanitario sarà prosciolto.
Tali verifiche dovranno essere eseguite già dal pubblico ministero in fase di indagini preliminari e, in ipotesi di rinvio a giudizio, il capo di imputazione dovrà contenere l’esplicita menzione dei risultati. Il Pm, cioè, dovrà formulare un’accusa che dimostri sia la divergenza del comportamento concretamente tenuto dalle linee guida, sia il livello della colpa, misurato in riferimento alle specifiche circostanze in cui il medico si è trovato ad operare.
Quanto, in particolare, alla natura delle linee guida, queste sono identificabili come raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate attraverso la disamina sistematica della letteratura scientifica, al fine di aiutare il personale sanitario a decidere le modalita assistenziali piu appropriate, in riferimento a situazioni cliniche tipizzate.
Esse sono per lo più volte a ridurre la soggettivizzazione dei comportamenti clinici con riferimento alla medesima situazione e, pertanto, presuppongono che il sanitario possa trovarsi di fronte ad una scelta fra due alternative diagnostiche o terapeutiche, da lui ritenute astrattamente praticabili, sebbene ciascuna con le proprie controindicazioni o, se si vuole, con il proprio margine di rischio. In simili alternative, il sanitario che vorrà ridurre l’alea legata a possibili conseguenze penali della propria condotta, dovrà scegliere l’opzione suggerita dalla pertinente linea guida. Così facendo egli non eliminerà ogni ulteriore margine di scelta, in quanto dovrà comunque operare secondo scienza e coscienza nel far aderire la raccomandazione alle molteplici specificità del caso concreto. Limiterà però il pericolo di incorrere in responsabilità poichè, nella suddetta discrezionalità di dettaglio, gli verranno scusate eventuali azioni connotate da colpa lieve.
Resta da capire se l’esimente in commento possa operare solo con riferimento ai casi di imperizia o anche a quelli di negligenza, con la precisazione che nella pratica giudiziaria appare piuttosto arduo incontrare vicende che presentino, con riferimento alla condotta concreta oggetto di incriminazione, una netta differenziazione fra i due profili di addebito.
E’ da dire, innanzi tutto, che non può escludersi che le linee guida pongano canoni rispetto ai quali il parametro valutativo della condotta sia quello della diligenza, come, per esempio, il rispetto di una procedura basata sulla pedissequa osservanza di una sequela di azioni di carattere più materiale che clinico. La nuova legge, peraltro, non si riferisce solo ai medici ma anche, ad esempio, al personale infermieristico, categoria spesso onerata di comportamenti da valutare più sotto il profilo della diligenza esecutiva che non sotto quello della corretta soluzione di quesiti di complessa natura intellettuale.
In sostanza, la valutazione della scriminante deve operare sia sul versante della diligenza che su quello della perizia, posto che il giudice, nella verifica della colpa, deve tenere conto unicamente del livello, maggiore o minore, di scostamento della condotta tenuta da quella che ci si poteva attendere sulla base della raccomandazione professionale di riferimento.
Autore dell’articolo Enrico Leo – tutti i diritti riservati