La richiesta di archiviazione fra legittima scelta sulla fondatezza della notizia di reato e sistema di smaltimento dei rifiuti solidi giudiziari

Il Pubblico Ministero, se ritiene infondata la notizia di reato, chiede al Gip che il fascicolo venga archiviato.

Al denunciante che ne abbia fatto richiesta, viene dato avviso di questa intenzione di non perseguire il denunciato e gli viene data la possibilità, entro il termine di dieci giorni, di verificare quali indagini siano state fatte ed eventualmente di rappresentare al Gip una sua motivata contrarietà all’archiviazione, con la richiesta di ulteriori approfondimenti investigativi.

Andando a verificare le motivazioni della richiesta di archiviazione e confrontandole con i risultati delle indagini svolte, non di rado accade di apprendere che il sostituto procuratore incaricato della cura del fascicolo non ha svolto alcuna attività. In questi casi, egli ha custodito il fascicolo su uno scaffale per alcuni anni (in media un paio) e poi, giunto il suo turno, gli ha impressa la destinazione finale, attraverso una motivazione spesso succinta e stereotipata.

Quando ciò accade, si verifica un’ evidente trasgressione del principio di obbligatorietà dell’azione penale e l’articolo 408 cpp da legittimo mezzo per eliminare dal sistema le denunce totalmente infondate o prive di qualsiasi possibilità di fruttuoso sviluppo investigativo, diviene un sistema di smaltimento dell’arretrato. Un metodo assai discutibile, che viene poi utilizzato nelle statistiche giudiziarie per sostenere che i procedimenti penali sono diminuiti.

Di questa problematica, applicata all’ipotesi più specifica di due denunce fra loro connesse e probatoriamente collegate, si è occupata la Cass. pen. Sez. VI, (ud. 13-03-2014) 04-07-2014, n. 29347, presidente Agrò, relatore Leo.

Veniva impugnato per cassazione un decreto di archiviazione emesso de plano dal Gip di Lecce per inammissibilità dell’opposizione, in relazione ad un ipotizzato delitto di calunnia.

Il Pubblico Ministero aveva “sollecitato l’archiviazione – senza compiere indagini dedicate – censurando il ricorso a denunce collaterali al procedimento principale e prospettando un abuso del diritto “non tollerabile dall’ordinamento”.

   Il denunciante aveva presentato opposizione, chiedendo lo svolgimento di indagini integrative, consistenti nell’ acquisizione dei verbali del dibattimento in corso innescato dalla denuncia asseritamente calunniosa e nell’ escussione di ulteriori persone informate dei fatti di cui al procedimento principale.

   Il Gip, fra l’altro, nel decreto de plano affermava che l’accusa di calunnia non sarebbe stata ragionevolmente sostenibile prima che fosse stato definito il giudizio per il fatto principale.

   La Corte ha accolto il ricorso del denunciante e disposto la trasmissione degli atti al Gip per l’ulteriore corso.

   Queste le principali affermazioni motivazionali:

“La valutazione esplicitamente sottesa alla presa di posizione del Procuratore generale, circa l’inopportunità della duplicazione che si determina con l’instaurazione di procedimenti fondati sull’ipotizzata falsità delle accuse altrove sottoposte a verifica, è certamente comprensibile.

Essa del resto si innesta nel percorso di recenti decisioni di questa Corte, che tendono ad ostacolare il fenomeno della duplicazione di procedimenti aventi il medesimo oggetto sostanziale, spesso per finalità non tutelabili dall’ordinamento (come ad esempio quella di trasformare una persona offesa, testimone, in una persona indagata o imputata per reato connesso). La tendenza si è manifestata anche sullo specifico terreno dell’opposizione alla richiesta di archiviazione nel procedimento che, per una qualche ragione, si consideri duplicato, fino ad affermare l’inammissibilità della opposizione medesima, pur in presenza di puntuali indicazioni istruttorie sul merito della regiudicanda, quando si tratti di accertamenti la cui sede naturale viene individuata in un procedimento parallelo, per qualche ragione (in genere la cronologia) considerato “principale” (Sezione 6^, sentenza n. 45206 del 16/07/2013).

In effetti la ratio decidendi della giurisprudenza citata si fonda in buona parte proprio sulla particolare complementarietà delle notizie di reato che concorrono nei casi in questione, tale che il pubblico ministero ben può omettere, quando la denuncia per calunnia risulta strumentale e manifestamente infondata, l’iscrizione della relativa notizia di reato a carico del denunciato, e far confluire l’atto direttamente nel contesto del procedimento “principale”.

L’archiviazione senza approfondimenti istruttori, e la connessa valutazione di inammissibilità dell’opposizione che solleciti tali approfondimenti, rappresentano una sorta di “rimedio” per i casi in cui la notitia criminis del delitto di calunnia non avrebbe dovuto neanche essere iscritta, data la sua manifesta infondatezza e, comunque, la mancanza sostanziale di autonomia rispetto al tema dell’affidabilità della prova d’accusa nel procedimento parallelo sui fatti.”

Fatta questa ricognizione, la sentenza aggiunge nello specifico che

“Nella sua portata generalizzante, la soluzione è inaccoglibile.

Essa rischia di introdurre una logica di pregiudizialità che, in termini generali, è sconosciuta all’ordinamento processuale.

La giurisprudenza, in effetti, ha valorizzato il ne bis in idem ben oltre la portata dell’art. 649 c.p.p., configurando “nuove” fattispecie di improcedibilità dell’azione, ma sempre con riguardo a procedimenti che abbiano lo stesso oggetto, e non semplicemente un rapporto di connessione. Al meritevole scopo perseguito con le tesi in esame possono giovare – sempre sul piano generale – le norme in materia di riunione, o finanche comportamenti di fatto, tenuti dalle parti o dagli stessi magistrati procedenti, alla luce di una gestione ragionevole ed “economica” dei procedimenti (a cominciare, per fare un esempio, dal travaso di risultanze tra procedimenti). Certamente, e però, non può ammettersi quella vera e propria fattispecie di improcedibilità (ancor più: impromovibilità) dell’azione che costituisce il portato della tesi espressa, in termini generali, dalla Procura requirente.”

   In sostanza, la Cassazione ha ritenuto che il rimedio, in una fattispecie di indagini tuttora in corso per entrambi i procedimenti, non sia altro che quello delle indagini coordinate o dello scambio di informazioni fra fascicoli.

E ancora:

“Più radicalmente, e per chiudere, va colta l’inadeguatezza di una soluzione che preclude alla persona offesa finanche una interlocuzione sulla qualità di relazione tra il procedimento che la riguarda e quello che dovrebbe assumere il ruolo di giudizio “principale”. Se anche si ammettesse l’esistenza di una nozione di completezza “dedicata” ai casi di “processo duplicato”, la verifica del caso concreto non potrebbe che svolgersi nel contraddittorio tra le parti, come avviene in tutti i casi in cui non siano affatto “già accertate” o “palesemente ininfluenti” le prove integrative specificamente indicate dalla persona offesa.”

In conclusione, non si può escludere la procedibilità e la fruttuosità di un procedimento penale per calunnia, solo sulla base dell’assunto generalizzante secondo il quale, onde evitare una duplicazione di accertamenti, vi sarebbe una sorta di pregiudizialità del primo giudizio (quello cioè innescato dalla denuncia in ipotesi calunniosa). Per contro, la denuncia di calunnia, se corredata da elementi che ne connotino un certo livello di concretezza, mantiene la sua autonomia e, nei casi in cui entrambi i fascicoli (quello cosiddetto principale e quello relativo alla denuncia per calunnia) siano in fase di indagini preliminari, il Pubblico Ministero, anziché chiedere di archiviare apoditticamente quello per calunnia, deve attivare gli strumenti previsti dall’articolo 371 cpp.

Autore dell’articolo Enrico Leo. Tutti i diritti riservati